L’Agenzia delle Entrate può rettificare la componente di reddito determinata dall’onere pluriennale anche nel caso in cui l’anno nel quale detto onere è stato iscritto per la prima volta in bilancio non sia ormai più accertabile. È questo – in estrema sintesi – il principio che emerge da una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in tema di termini di decadenza dal potere accertativo in relazione ad ogni fattispecie reddituale ad efficacia pluriennale (Cass. S.U. 25 marzo 2021, n. 8500). Secondo i giudici di legittimità, in particolare, la possibilità di accertamento da parte dell’Ufficio non può essere preclusa dal fatto che il presupposto costitutivo del costo pluriennale sia maturato in una annualità ormai non più accertabile a causa della decadenza dei termini ordinari. Ciò in quanto ogni rateo ha un’autonoma rilevanza rispetto al periodo di imposta sul quale incide. Per tale motivo: - l’accertamento deve essere possibile su ogni annualità anche con riguardo al fatto costitutivo dell’elemento pluriennale dedotto e non soltanto alla correttezza della singola quota annuale di deduzione;
- la decadenza del potere di controllo del Fisco dovrà, dunque, essere verificata in relazione al termine per la rettifica della dichiarazione in cui il singolo rateo è indicato.
Dal punto di vista pratico la posizione sopra espressa comporta delle importanti ricadute, posto che il contribuente sarà tenuto a conservare la documentazione giustificativa della spesa iniziale anche dopo un considerevole lasso temporale intercorso dal relativo fatto generatore, dovendo comprovare, in caso di contestazione e recupero (eventualmente) dell’ultima quota, la deduzione spalmata in più anni. Si pensi, in via esemplificativa, al caso di un immobile strumentale acquistato nel 2000 per il quale viene applicata un’aliquota d’ammortamento del 3%. Ciò determinerà quote di ammortamento per 33 anni (ovvero sino al 2032), con l’ultima quota che sarà quindi (stando alle regole attualmente vigenti sulla decadenza) accertabile sino al 31 dicembre 2039. Eppure – completando l’esempio prospettato – appare evidente come, in realtà, il potere di accertamento dell’Amministrazione Finanziaria potrà validamente dispiegarsi ben oltre il termine anzidetto. Infatti, nella considerazione che la normativa vigente non consente l’ammortamento dell’area sottostante al fabbricato, anche al termine dell’ammortamento del fabbricato, l’immobile mantiene un costo residuo la cui deducibilità si manifesta dall’esercizio della cessione, perdita, danneggiamento o destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa. E non è finita qui. Se l’azienda, al sussistere delle condizioni di cui all’art. 86 “Plusvalenze patrimoniali” del Tuid, sceglie di frazionare la plusvalenza realizzata, la decorrenza del termine di prescrizione della conservazione documentale dei costi corrisponde all’esercizio di concorrenza al reddito dell’ultima quota della plusvalenza frazionata. Ulteriore esempio, ed analoghe conclusioni, per i costi sostenuti per l’acquisto di materiale iscritto da anni fra le rimanenze di magazzino, ancorché obsoleto o soggetto a slow moving e svalutato in tutto o in parte, la cui documentazione di acquisto o produzione dovrà essere conservata fino al termine di prescrizione dell’esercizio della loro cessione o distruzione. Medesime considerazioni possono, poi, valere anche per le detrazioni edilizie dei privati (quale il superbonus del 110%) per le quali il credito d’imposta si estende per più esercizi. Si raccomanda, pertanto, di prestare particolare attenzione nel disfarsi dei documenti aziendali dopo il periodo di prescrizione ordinaria decennale, in quanto l’obbligo di relativa conservazione, in presenza di costi deducibili in diversi esercizi, assume durata anche di gran lunga superiore. |